05 March 2022 @ 01:47 am
[BATMAN TDKR] In a tidal wave of mystery (you’ll still be standing next to me) [1/?]  

Titolo: In a tidal wave of mystery (you’ll still be standing next to me)
Autore:
dio_niso
Fandom: Batman: TDKR
Personaggi: John Blake, Barsard, Dr. Crane, Adam (OC)

Paring: Bane/Blake
Avvertimenti: what if?, au , w.i.p., wing!fic, furry, dark, slash, long-fic

Word: 3147 fiumidiparole
Prompt: Piume per la #1 settimana del Genetics Fest su fanfic_italia
Disclaimer: Batman e i suoi personaggi non mi appartengono e con questi scritti non ci guadagno nulla.
Note: il titolo della storia è preso da Safe and Sound - Capital Cities; il rating per il momento è giallo ma, come gli avvertimenti, varierà nei prossimi capitoli per cui fate attenzione prima di leggere. Ringrazio soqquadro, sunrise.nina e Eiriin per aver betato il capitolo.

In a tidal wave of mystery (you’ll still be standing next to me)

1. Coz wings are made to fly

John sta perlustrando le strade nei dintorni dell'orfanotrofio per assicurarsi che non ci siano minacce vicino ai bambini, prima di avvicinarsi e lasciare loro dei rifornimenti di cibo e acqua che è riuscito a prendere durante il razionamento.
Il vicolo che sta controllando, l'ultimo prima del prefabbricato, è buio e silenzioso, deserto tranne per un gatto che si nasconde velocemente dietro a dei bidoni.
Dà un ultimo sguardo intorno per poi dirigersi fuori dal vicolo, in direzione dell'orfanotrofio.
Un rumore inatteso lo fa voltare di scatto ma, per quanto i suoi riflessi siano repentini e veloci, la sorpresa e la paura che lo pervadono d'improvviso non gli permettono di reagire in tempo per evitare al violento colpo che gli arriva alla testa.
L'ultima cosa che John vede è il blu del cielo tramutarsi in un nero che lo ingoia rapidamente nell'incoscienza.

- - -


La prima volta che si risveglia è in una cella buia e fredda. Non c'è nessun altro lì con lui e indossa ancora i vestiti da civile. Il taglio alla testa gli fa male e, quando lo tocca con le dita, esse si sporcano di sangue.
La stanchezza ritorna più prepotente di prima e John si ritrova addormentato sul pavimento senza aver capito nulla di ciò che gli è capitato.

Al suo secondo risveglio, è in quella che sembra una sala operatoria. Le mani e le gambe sono legate al tavolo, la testa è bloccata da una macchina di ferro e le luci tutt'attorno lo accecano e infastidiscono.
Sente delle voci nelle vicinanze e dei rumori di oggetti che sbattono tra loro in un chiacchiericcio spaventoso e metallico.
Prova a muoversi, a urlare, a liberare i polsi intrappolati nella morsa delle cinghie di ferro che li avvolgono, ma l'unico risultato che ottiene è una risata grave e una siringa nel braccio.
John perde di nuovo conoscenza.

La terza volta che riapre gli occhi, le sue condizioni sono leggermente migliori delle precedenti: il dolore alla testa è quasi del tutto sparito, non ci sono cinghie che lo trattengono e non è in una sala operatoria.
È di nuovo nella cella in cui si era svegliato la prima volta, però, e i vestiti sono stati sostituiti da un camice logoro e ingiallito dal tempo.
Ora che il dolore si è attenuato e ha la possibilità di guardarsi un po' intorno, John nota che non c'è nessun letto nella stanza, nessuna finestra o spiraglio, ci sono solo muri grigi e sporchi e una porta di ferro chiusa, bloccata dall'esterno.
John urla per quelle che sembrano ore, prima di accasciarsi sul pavimento e abbandonarsi ad un pianto liberatorio: la stanchezza, la paura e la frustrazione lo fanno addormentare in pochissimo tempo.

Le ore e i giorni passano senza che lui ne riesca a tenere il conto. Non sa da quanto tempo è tenuto prigioniero, ne se il commissario Gordon lo stia cercando. “Forse gli altri credono che sia morto e neppure mi cercano più...” pensa incessantemente, notte e giorno, come se nient'altro avesse importanza.
Lasciato lì al buio a morire di fame senza neppure sapere chi lo ha rapito o perché... cosa gli hanno fatto in quella sala operatoria?
Nell'oscurità di quella cella John si è tolto il camice, ha sfiorato la sua pelle in cerca di un segno, di una ferita, di una qualsiasi traccia che potesse dargli risposte: ma il suo corpo è completamente illeso, tranne per la ferita alla testa che è stata ricucita e bendata.
Perché tenerlo lì a morire di fame?

Dopo quelli che a lui sembrano giorni, sente dei rumori fuori dalla cella, oltre la porta di ferro. C'è qualcuno lì fuori; passi spediti e pesanti rimbombano in quello che deve essere un corridoio.
Quando la porta viene sbloccata e aperta, la luce gli ferisce gli occhi al punto che è costretto a chiuderli e a rannicchiarsi contro il muro; dopo qualche secondo riesce a mettere a fuoco e capisce che la figura che si staglia sulla soglia è quella di un uomo armato che lo sta fissando in attesa che si alzi.
Per un attimo la speranza di riuscire a scappare di lì, di vincere l'uomo che ha di fronte e ottenere nuovamente la sua libertà, sembrano dei motivi più che validi per tentare, ma quando lo slancio che si dà per alzarsi in piedi e scagliarsi contro il nemico si trasforma in un patetico salto che lo fa ricadere sulle ginocchia a pochi passi dal muro, John capisce che non ha la forza per fuggire, che ogni suo tentativo è vano.
L'uomo sembra aver seguito perfettamente la sua stessa linea di pensiero e, senza pronunciare neppure una parola, prende qualcosa dalla tasca dei pantaloni e gliela porge. Si sposta, poi, di lato lasciando libera l'entrata.
«Dove sono?» domanda con voce roca per le urla di qualche giorno prima (o erano ore?), mentre afferra con mani tremanti ciò che gli è stato dato e che si rivela essere una bottiglietta d'acqua. Tutta la sete che ha provato in questo tempo prende violentemente il sopravvento su di lui e John apre il contenitore con foga e desiderio, ingurgitando quanta più acqua possibile in un sol fiato.
La finisce in pochi sorsi e quando è completamente vuota si asciuga le labbra umide tornando a prestare attenzione all'uomo, che è rimasto immobile per tutto il tempo.
Indossa una divisa militare, pantaloni cargo e maglietta nera; imbraccia un fucile e con sé ha una pistola nella fondina, oltre a diversi coltelli legati alle gambe e uno più grande alla cintola dei pantaloni.
Capelli corti e scuri e barba folta a ricoprirgli il volto, con occhi chiari e taglienti che non l'hanno perso di vista neppure per un istante. È un bell'uomo nel pieno dei suoi trent'anni, circa. L'unico tratto particolare è una bandana rossa legata intorno al collo ma, per il resto, è vestito esattamente come tutti i mercenari di Bane che spesso ha incontrato per le strade di Gotham.

Quindi mi tengono qui per torturarmi? Perché sanno che sono un poliziotto?” si domanda John, spaventato all'idea di ciò che questi uomini potrebbero fargli. “Non dirò nulla.” Si ripromette.
Non tradirò gli altri.”
Non tradirò Jim.”
«Alzati.»
L'ordine gli fa perdere un battito. La voce dell'uomo è bassa e profonda e John si sorprende a pensare a quanto sia delicata ed in contrasto con tutta quella situazione.
«Dove sono?» ripete ancora, sperando di ricevere una risposta, questa volta. Ma l'uomo deve aver finito la sua pazienza perché dopo aver posizionato il fucile sulla spalla destra entra velocemente nella stanza e lo afferra per il braccio.
Non sembra far caso all'odore forte di urina che riempie la cella o allo sporco sul corpo di John. Va diritto verso di lui e lo mette in piedi in un solo movimento, senza il minimo sforzo.
Le gambe di John sembrano cedere a quel brusco cambio di equilibrio, ma l'altro lo tiene forte per un braccio fino a quando non si stabilizza e poi lo spinge fuori.
John barcolla sostenendosi contro il muro del corridoio per non cadere di nuovo. L'aria pulita che lo investe gli inonda i polmoni e sembra evidenziare maggiormente la sporcizia e la puzza che lo ricoprono.
Il corridoio è lungo e ben illuminato, ma anche qui i muri sono grigi e malandati, come se il luogo in cui lo tengono sia una cantina o un seminterrato di una casa molto vecchia e poco curata.
Il suo carceriere fa un cenno con la testa in direzione del corridoio e John inizia a camminare con passi incerti e malfermi tenendosi con una mano contro il muro per sostenersi.

Nonostante la situazione sia pericolosa, non riesce a smettere di pensare a quanto debba essere brutto il suo aspetto in questo momento. Cose futili come “Devo farmi la barba” o “Mi sono cresciuti i capelli” sembrano essere le uniche cose su cui riesce a concentrarsi.
La paura è così forte che la sua mente fa di tutto per rimuginare su altro, come ad avere ancora la possibilità di fare quelle cose, di non dover morire tra pochi minuti.
Camminano per tutto il corridoio, che si dimostra essere più lungo di quanto John credesse, e più articolato di quanto sperasse. Salgono due rampe di scale e si ritrovano in un altro corridoio, apparentemente più pulito e meglio tenuto del precedente, eccezion fatta per i muri, anch'essi ingialliti e poco curati.
Ci sono altre persone qui, uomini armati che sorvegliano delle stanze precise e quando delle urla, delle voci, delle preghiere rompono il silenzio del luogo, John si domanda se anche lui subirà lo stesso trattamento di quei poveri bastardi rinchiusi dietro quelle porte. Un brivido di orrore gli percorre il corpo quando un altro urlo si leva dalla stanza a fianco alla quale sta passando. Resta immobile, bianco come un lenzuolo a fissare quella porta dietro cui una donna sta urlando il proprio dolore. Non riesce a muoversi, non riesce a parlare tanta è l'agonia rinchiusa in quel semplice atto.
Il suo carceriere lo spinge ancora una volta, nell'intento di farlo proseguire, ma John perde l'equilibrio e cade a terra. La paura questa volta lo scuote dall'interno e John trema e piange, senza riuscire a controllarsi.
L'uomo dietro di lui lo guarda con qualcosa negli occhi che sembra pietà, ma il momento passa veloce e, afferrandolo di nuovo per un braccio, lo rimette in piedi: questa volta non lo lascia andare e continua a sorreggerlo per tutto il tragitto, fino a quando non arrivano alla fine del corridoio, davanti ad una porta bianca che si dimostra essere quella dei bagni.
Ci sono docce e lavandini e John è così grato per una cosa così stupida che quasi non scoppia a ridere.

«Datti una ripulita.» gli ordina il carceriere, mentre si appresta a lasciare la stanza, poi sembra ripensarci improvvisamente, si volta di nuovo verso di lui e aggiunge «Non provare a scappare. Non provare a fare qualcosa di stupido. Non farmi arrabbiare. Se non farai nessuna di questa tre cose farò tutto ciò che è in mio potere per farti vivere il più a lungo possibile.» Afferra, dunque, la maniglia della porta ed esce; prima che possa richiuderla John chiede «Come ti chiami?» e quello risponde «Barsard», per poi andarsene senza guardare indietro.
John si spoglia lentamente ed apre la fontana della doccia. Mentre l'acqua tiepida scorre sul suo corpo si lascia andare e piange tutte le lacrime che gli rimangono.

- - -


Dopo essersi lavato, Barsard lo ha portato in una nuova cella su quello stesso piano, gli sono stati dati nuovi vestiti (sempre uno di quegli orribili camici ingialliti) ed un pasto caldo. Da quel momento in poi quella è diventata la sua routine quotidiana: Barsard lo lascia andare in bagno una volta al giorno, ma in compenso porta da mangiare tutti i giorni.
Non sa con esattezza da quanto tempo è tenuto segregato in quella specie di prigione, ma da quando Barsard si è fatto vivo ha potuto contare il passare del tempo grazie ai pasti che gli vengono serviti due volte al giorno: dall'arrivo di Barsard sono passate due settimane in cui nulla, grazie al cielo, gli è stato fatto.
Ha più volte cercato di spillare informazioni alla guardia, che continua ad essere il suo unico collegamento con l'esterno, l'unica persona con cui scambiare qualche parola, soprattutto quando le urla dei prigionieri nelle altre celle si fanno più intense del solito.
Barsard non parla molto e quando lo fa è conciso senza perdersi in chiacchiere futili.
Dove sono? Perché sono qui? Mi torturerete? Volete uccidermi? Cosa volete farmi?
In un modo o in un altro Barsard è sempre riuscito a non rispondere a nessuna delle sue domande, a volte cambiando argomento, altre ignorandolo totalmente.
Nonostante i suoi modi bruschi e freddi, John è grato che sia quell'uomo a prendersi cura di lui perché sa che gli altri carcerieri non sono così gentili con i loro prigionieri.

- - -


A metà della terza settimana dall'arrivo di Barsard, John inizia a capire cosa sta succedendo in quel luogo. La notte non c'è nessuno a sorvegliare le loro celle e più di una volta è riuscito a parlare con le altre persone bloccate lì.
Adam, il suo vicino, gli ha parlato di esperimenti, gli ha detto che Crane ha fatto loro qualcosa. Qualcosa che nel tempo li sta facendo mutare.
Gli ha detto che loro sono delle fottute cavie da laboratorio, topi su cui sperimentare le follie di una mente malata come quella di Jonathan Crane.
John non ha dormito quella notte, non riusciva a smettere di pensare a cosa Crane gli avesse fatto quel giorno di molte settimane prima.
Ora le urla hanno un suono differente, più crudele e spaventoso. La paura non l'ha lasciato, ma la consapevolezza che il nemico da temere non è esterno ma il proprio corpo, gli ha dato un senso di tranquillità che John proprio non dovrebbe provare.
Quando Barsard arriva la mattina dopo, John chiede solo «Perché?» e l'altro lo squadra con uno sguardo penetrante e indagatore, capendo infine che John sa e che ha paura.
E allora risponde, ma la sua risposta non spiega proprio nulla.

«Perché il Dr. Crane ha ordinato così.»

- - -


Due giorni dopo il corpo di John inizia a cambiare.
Inizia come un dolore lento e graduale che si intensifica con il passare dei giorni, ma che non lo abbandona mai.
La schiena gli fa male e ha ormai preso l'abitudine di dormire su un fianco, perché il peso del corpo poggiato sulla schiena gli aumenta il dolore.
Quando ne ha parlato con Adam quello ha semplicemente commentato: «È solo l'inizio.»
Non ha aggiunto altro, ma ha decisamente aumentato la paura nel cuore di John.
Barsard non gli ha detto nulla, invece, lo ha solo guardato con fare contemplativo e poi è andato via.

- - -

John inizia ad apprezzare le chiacchiere con Adam, soprattutto quando smettono di ruotare intorno al motivo per cui sono lì.
Adam è un fotografo professionista che ha da poco aperto una propria galleria in città. Ha una fidanzata che ama molto e che doveva sposare, un cane a cui vuole molto bene, ma che continua imperterrito a rubargli le scarpe e a distruggerle nonostante anni di insegnamenti e tentativi vari per impedirglielo.
Ha da poco comprato una casa per sé e la sua fidanzata, Natasha.
Prima che Bane occupasse Gotham, mancava solo un mese alle loro nozze, alla loro nuova vita.
Ora Natasha è morta, uccisa nei primi giorni di saccheggio e violenza della città, e Adam non ha più un futuro a cui aspirare, nessuna nuova vita che lo attende.
Quando è toccato a John raccontare la sua vita, non ha trovato nulla per cui rimpiangere il passato.
Non ha mai avuto aspirazioni per il futuro, nessuna ragazza da sposare, nessun cane a fargli compagnia, nessuna casa in cui tornare che rispecchiasse in pieno il significato della parola, ma solo un piccolo appartamento nella zona periferica della città in cui viveva da solo.
Non si sentiva così triste da un sacco di tempo.

- - -

La pelle sulle spalle ha pian piano cambiato colore, assumendo un colore giallastro e malato.
Ha dovuto togliere la parte superiore del camice e legarla in vita perché il tessuto che sfregava contro la pelle la irritava e gli faceva male.
Quando il dolore è diventato così insopportabile da farlo delirare e pregare di smettere, Barsard gli ha lasciato un flacone di antidolorifici accanto ad una bottiglietta d'acqua sul pavimento, insieme ad una coperta morbida e calda sul corpo.
Barsard non è tornato per altri tre giorni e i pasti gli sono stati consegnati dallo stesso carceriere di Adam, che lo ha guardato per tutto il tempo con occhi così carichi di desiderio che John non è riuscito a mangiare.

- - -

Una settimana dopo la pelle sulla schiena inizia a lacerarsi; il sangue cola lungo le scapole in rivoli densi, sporca il camice e la coperta che Barsard gli ha dato.
La paura e l'orrore per ciò che gli sta accadendo non gli permettono di pensare con lucidità e di respirare bene. John ha un attacco di panico e non sa come calmarsi, solo il repentino intervento di Barsard lo aiuta a riprendersi. Seguendo i suoi comandi («Respira insieme a me, John.») riesce a stabilizzare il respiro e a smettere di piangere. Una volta certo che John abbia superato l'attacco, presta attenzione alle nuove ferite sulla schiena. Quando ne tocca una poco sotto la scapola, la pelle si muove e viene via, staccandosi dal corpo di John come il sottile strato di una cipolla.
La pelle di John continua a cadere per giorni.
È solo nella settima settimana che le cose cambiano drasticamente.


- - -

«Allora, John, come sono?»
Adam ripete quella domanda per la terza volta di fila e la sua voce sembra riecheggiare nell'insolito silenzio del corridoio. John vorrebbe rispondergli, ma la sola idea di parlarne le rende così reali che quasi si sente male.

«Suvvia, non può essere così terribile. Ti prego, dimmi qualcosa!» prega ancora Adam con un'evidente nota di paura nella voce e forse è proprio la consapevolezza che il suo amico si sta preoccupando per lui che lo spinge a rispondergli.
«Eh… Son... sono piccole.» dice e la sua voce sembra rompersi verso la fine. «S-sono nere e... e molto piccole, ma Barsard crede che presto cresceranno.»
«Wow. Non è divertente che in tutto ciò il tuo nome sia Robin?» chiede Adam, provando a sdrammatizzare. Il tentativo, però, fallisce miseramente. L'uomo se ne accorge quando dalla cella di John sente provenire rumori sommessi. Sta piangendo, proprio come ha fatto per tutta la settimana.
Ali. Piccole ali dalle piume nere e folte.
John vuole solo svegliarsi da quest'orribile incubo.
Si getta di nuovo sul letto e soffoca i singhiozzi nel cuscino. Ricorda ancora bene la mattina di una settimana prima, quella in cui si era svegliato con quelle cose attaccate alle spalle che non riusciva a staccare.
Ogni suo tentativo finiva solo con il procurargli altro dolore e alla fine si era arreso ad attendere l'arrivo di Barsard per un aiuto. Quello, un po' sbigottito ma sollevato (e John non capisce tutt'ora il perché) gli aveva semplicemente detto di smetterla di tirarsi via le piume perché quelle ali non sarebbero andate via.
Il ricordo lo riempie ancora di sconforto e John torna a piagnucolare contro il cuscino, avvilito e spaventato. Barsard ha anche dovuto portargli un altro set di vestiti, questa volta un paio di pantaloni ed una maglia sempre del tipo ospedaliero, e quest'ultima con due buchi larghi sulla schiena per permettergli di infilarci le ali.
Steso sul letto a pancia in giù, allunga per l'ennesima volta le mani dietro la schiena: le ali stanno crescendo piano piano, può dirlo dalla lunghezza delle piume sempre più morbide e di un colore più chiaro, quasi marroncino. Le fissa intensamente da sopra la spalla e con uno scatto improvviso, ne stacca una manciata. Il dolore è acuto e pungente; probabilmente gli sta uscendo anche un po' di sangue, ma non gli importa. Vuole solo che quelle cose innaturali e mostruose si stacchino dalla sua schiena.
Vuole solo che le cose tornino com'erano prima.
Quando un urlo di dolore riempie il silenzio del corridoio seguito da gemiti e rumori di un pianto, John pensa che forse, tutto sommato, qualcosa per cui essere sollevati c'è davvero.